Da domani tu
Storia di una gravidanza tanto desiderata
Questa è l’ultima notte che ci vede essere una sola persona. Ascolto il mio respiro nel buio e penso che non ci posso credere che siamo davvero qui – tu ed io – a vivere questa notte, ad aspettare domattina.
Tu ed io che non avremmo mai dovuto esistere: tu che eri solo materia di sogno, io che disperavo la tua assenza.
Il silenzio stanotte non mi fa paura. Qui, anche il silenzio vive di suoni. Stanotte è l’ultimo tempo solo nostro prima che la vita ti reclami, l’ultima notte in cui ti posso parlare solo con il pensiero ed essere certa che tu possa sentirmi.
Tu, domattina, nasci! Io non so spiegarti come mi sento.
Per anni non ti racconterò – e forse mai del tutto – cosa significa vivere questa notte, perché ho il terrore che domattina qualcosa di brutto possa succedere, perché sono emozionata e fremente all’idea “di te come persona”, ma anche un tantino dispiaciuta che questi 9 mesi siano già finiti.
Ti dirò con allegria e leggerezza che tu sei un “bimbo magico”, ti dirò che tu sei la mia parte migliore, ti dirò – tra un bacio ed un sorriso – “grazie” di avermi resa una mamma. Ti guarderò con occhi adoranti e mi emozionerò a dire “mio figlio”. E sai una cosa? Credo che né l’adorazione né l’emozione passeranno mai. Credo che continuerò a pensare che tu sia magico anche quando litigheremo perché vuoi tornare troppo tardi, quando accetterò a denti stretti che avrai l’età ed il senno (perché ce l’avrai, vero?) per avere il motorino e cercherò di non farti vedere il mio terrore e di non telefonarti ogni mezz’ora, anche quando la vita ti indicherà soluzioni che non condivido e combatterò tra il diritto di dirtelo e il rispetto di tacere.
E stanotte sono qui con l’attesa di incontrarti. Ripenso alle strade viaggiate per arrivare a te, alle attese, alle speranze, ai “forse”, ai categorici “mai”, alla paura persino di sperare.
L’attesa di te dura da quando, più di 20 anni fa, un giorno d’estate sono svenuta e ho saputo – nello stesso momento – di aspettare un bambino e di averlo perso. Avevo poco più di 20 anni, un matrimonio fresco di data e già vecchio di speranze. Un matrimonio durato altri 15 anni senza che arrivasse una nuova gravidanza; senza la gioia e l’amore necessari a capire e a sapere.
Poi la vita cambia gli scenari e le proposte. Incontri l’uomo giusto, quello che fa venire voglia di famiglia e cancella i debiti con il passato. L’amore e la gioia che adesso ci sono, non bastavano!
Mesi ad aspettare, a sentire sintomi che non ci sono veramente, a leggere segnali che non stanno segnalando. Mentre il tempo passa. Passa. E sono 40. Poi uno in più. L’orologio biologico ticchetta sempre più forte. Non si può più aspettare che la natura faccia il suo corso. Ponendo che abbia un corso da fare. È decisamente necessario tenersi per mano e capire.
Così comincia il calvario che caratterizza qualsiasi ricerca di diagnosi: gli esami di entrambi, gli approfondimenti, gli specialisti, i consulti, l’attesa degli esiti, le facce di circostanza, gli incompetenti da cui ci siamo sentiti suggerire che “non è il caso di disperarsi tanto. I bambini si possono anche comprare”. Ho più di 40 anni ed una malattia autoimmune, persino il più ottimista degli specialisti non riesce a nascondere le sue perplessità.
A Torino c’è un centro svedese specializzato in gravidanze assistite di donne affette da malattie autoimmuni: appuntamento e tante speranze.
Mi ricordo che quando siamo usciti pioveva e non riuscivo a camminare. Mi ricordo il medico, empatico e gentilissimo, dirci che non vedeva alcuna possibilità e che non voleva torturarci con percorsi di illusione dal punto di arrivo certo e disperato. Alla mia reazione sgomenta – e, ne sono convinta, solo per evitarmi un crollo nervoso – propone un ultimo controllo da fare necessariamente il 3° giorno del successivo ciclo mestruale.
Era l’inizio di novembre. A dicembre niente ciclo, a gennaio nemmeno. Il medico era stato così disponibile e preparato che inizio ad intravedere un nuovo problema di salute all’orizzonte. Decido che così non si può stare e prendo appuntamento dal ginecologo. Appuntamento fissato da lì ad una decina di giorni. Riflettendo su ciò che stava accadendo, inizio a pensare che la speranza degli ultimi anni forse è diventata realtà. L’attesa non può durare altri 10 giorni e l’unica cosa da fare è comprare un test. Acquistato, fatto un sabato sera: POSITIVO!
La storia di Daniela non termina qui. Se vuoi conoscere cosa è successo dopo il test di gravidanza, ti aspettiamo fra 7 giorni.