Lavorare in un coworking: nuovi modi per fare rete (anche in provincia)
Cosa vuol dire lavorare in coworking?
Persona qualunque: “Che lavoro fai?”
Io: “Gestisco un coworking…”
(occhi strabuzzati)
Persona qualunque: “Cosa?”
Io: “Sì, uno spazio dove si lavora insieme, si incontrano altri professionisti, si organizzano eventi…”
A questo punto la discussione può avere due possibili sviluppi:
1) “Ah sì, ne ho sentito parlare. Molto interessante!”
2) “Ah.”
È evidente che, nel secondo caso, la conversazione cade miseramente o vira di colpo su un altro argomento.
Nel primo caso, invece, hai intercettato un potenziale coworker/fruitore dei tuoi eventi.
Questa breve introduzione nasce da una esperienza diretta: la mia.
In un anno di gestione di un coworking (di cui sono anche co-founder) ne ho sentite parecchie di queste battute. E quelle del secondo tipo sono state forse le più frequenti.
Mancanza d’interesse? Diffidenza verso il nuovo che avanza?
Sicuramente entrambe le cose.
E non ti ho ancora rivelato un dato fondamentale: il mio coworking è in Sicilia e non a Catania o a Palermo, ma in una città di provincia (neanche troppo piccola, tra l’altro).
Capirai quindi che non siamo esattamente in un contesto lavorativo vivacissimo e in continuo movimento, ma il bello è (anche) questo. Una vera sfida: far conoscere modalità lavorative nuove e convenienti sotto tanti punti di vista.
A iniziare da quello economico. Per un giovane professionista, che si affaccia al mondo del lavoro, mantenere uno studio non è per niente facile e il coworking mette a disposizione postazioni di lavoro attrezzate a prezzi davvero imbattibili.
Frequentare un coworking, come forse saprai, non è soltanto condividere una scrivania e il Wi-Fi. È soprattutto avere uno spazio fisico dove ‘connettersi’ con altri freelance, startupper e professionisti di ambiti diversi, a volte lontani dal tuo. Una sede dove concretizzare idee e progetti e magari trovare un team di collaboratori sulla tua stessa lunghezza d’onda. Tra un caffè e l’altro.
Tutto questo è molto bello, sulla carta.
In un anno di vita il coworking ha ospitato molte attività, anche inedite per la mia città: laboratori per bambini ispirati alla storia, all’arte, all’archeologia e alle tematiche ambientali; aperitivi culturali; corsi di formazione; riunioni di associazioni. Tutto questo è servito a fare network con operatori e professionisti, gettando le basi per nuovi progetti futuri.
Il difficile è far capire ai giovani del territorio che lavorare a casa in pigiama – tanto la connessione Wi-Fi la paga papà – non è la soluzione ideale. Non aiuta a crescere e a creare contatti diretti con altri freelance del territorio che condividono le stesse problematiche e le stesse esigenze. Lavorare in un coworking permette di confrontarsi, di scambiarsi idee e di conoscere nuove persone.
L’obiettivo per l’anno in corso è coinvolgere maggiormente le risorse locali perché la voglia di fare è tanta, le potenzialità sono tante, ma sono come disperse, diluite su iniziative e progetti spesso isolati, che non hanno la forza di produrre valore economico, sociale e culturale sulla lunga durata.
La mia idea di coworking (idea condivisa da tanti, ovviamente!) è quella di un aggregatore di forze e idee, che si basa sulla regola numero 1: da soli non si va da nessuna parte. Questa è una verità che da noi al Sud vale forse più che in qualsiasi altro luogo. La sensazione di sentirsi soli o di lottare contro i mulini a vento è sempre molto forte.
C’è comunque un dato confortante a segnalare che la direzione scelta è quella giusta. L’indagine condotta da GoDesk lo scorso anno (aggiornata a gennaio 2018) sul fenomeno coworking in Italia registra che, su oltre 550 realtà censite, il 28% si trova al Sud, in Sicilia, e 1 su 4 è in centri con meno di 50 mila abitanti. Si tratta di coworking dai profili spesso molto diversi gli uni dagli altri, dal punto di vista della sostenibilità finanziaria (sostegno pubblico diretto, iniziativa privata, etc.) o per tipo di attività privilegiata (formazione, incubatore di startup, mission sociale, etc.).
Un coworking della provincia siciliana avrà ovviamente motivazioni e sviluppi diversi rispetto a quelli di un coworking milanese e non soltanto in termini numerici di coworker. Abbastanza scontato, dirai. Certo è che l’impatto con le esigenze e le problematiche del territorio avviene necessariamente in corsa, a progetto avviato, al di là di tutte le valutazioni e le previsioni fatte in fase di progettazione. E allora si aggiusta il tiro. Tutto questo te lo insegnano il tempo e l’esperienza, ma soprattutto il confronto con altri professionisti e le loro storie.
Insomma lavorare in un coworking per me è questo: ‘lavorare con gli altri’, non semplicemente nella postazione accanto, ma soprattutto nel senso di condividere una esperienza innovativa per tanti aspetti e che ti aiuta a fare uno, due, più passi avanti come professionista e, prima ancora, come persona.