Il rapporto di una donna quarantenne con il cibo
Cosa (e come) mangiare dopo i 40 anni
Chiedere ad una food blogger “morbida”, mamma di due adolescenti famelici, quale sia il rapporto con il cibo per una donna superati i 40 è davvero pericoloso.
Ti dico due cosette, giusto per inquadrarmi: a 15 anni mia mamma per il compleanno mi ha regalato il Bimby (ormai vintage, ma funzionante!); a 40 anni la mia famiglia per il compleanno mi ha regalato il Kitchen Aid verde mela.
Coerente no?!
Quindi viene da pensare che il mio rapporto con la cucina sia rimasto visceralmente lo stesso. Non è vero, è rimasto centrale, vitale direi, ma è cambiato molto.
È mutato il mio modo di cucinare, perché si è evoluto il motivo per cui mangio e per cui cucino.
Cucinare è sempre stato per me un atto di amore, normalmente verso gli altri, ma da giovane era un amore di lusinga. Era cercare “ruffianamente” il consenso e l’attenzione del commensale.
Oggi è innanzitutto un “prendersi cura”: il cibo per me è un veicolo di benessere e di protezione. Oggi cucino con amore, soprattutto verso me stessa, perché scelgo cosa fare entrare nel mio corpo. Sembra quasi sessuale come affermazione… e infatti lo è.
A 40 anni ho capito che il cibo entra in me, diventa parte di me, va a costruire i miei odori, la mia serotonina, la mia libido e il mio benessere. È un onore per me poter scegliere di cosa voglio essere fatta.
Il cibo che preparo per la mia famiglia, invece, è un’opportunità, che io ricevo ad ogni pasto, di poter contribuire alla loro salute e al contempo alla costruzione della loro memoria. Mi piace sognare che un giorno potranno trarre conforto ricordando un sapore, una consistenza, e che io possa attraverso quel ricordo proteggerli anche in futuro.
Il cibo che preparo per gli amici è un pretesto spudorato per stare insieme, per godere di un piacere per il gusto di farlo, per abbandonarsi alla spensieratezza di cui tutti abbiamo terribilmente bisogno.
Quello che non è mai cambiato nel tempo è l’allegria e il gioco che per me rappresenta il cibo. La sperimentazione di gusti, consistenze, accostamenti è stato il Leitmotiv di tutta la mia vita.
Ho imparato una cosa importante in questo percorso, che cerco di insegnare ai miei figli: il gusto non è innato, non è un oggetto monolitico a cui soccombere, il gusto è innanzi tutto frutto del bagno culturale in cui siamo immersi. Capito questo, il gusto si educa, si forgia con la sperimentazione. È innanzitutto una scelta mentale, nel cibo come nella vita.
Poi c’è un ultimo aspetto che ho maturato negli ultimi anni: il cibo come cura, medicina nel vero senso della parola. Nella mia ricerca non posso ignorare tutta la cultura orientale del cibo, che lo innalza quasi a preghiera. Io non sono estremista in nulla, ma quando ho imparato alcuni dei fondamenti della cucina macrobiotica, ho sentito che vibravano le corde giuste in me. Da lì è nato il mio tentativo di rispettare e valutare anche l’aspetto energetico del cibo, sia nella scelta del cibo stesso, vivo, colorato, stagionale, ma anche, cosa quasi magica, nella scelta del cibo per la vitalità e la salute dei singoli organi.
Come è più bello pensare a cosa mangiare in termini energetici, che non come mero conteggio calorico. Per me è stato il passaggio che mi ha portato a smettere di pensare al mio corpo come ad una macchina, per iniziare a pensarlo come un pezzo di me da coccolare e da amare, perché è il magico strumento che la natura mi ha regalato per veicolarmi in questo mondo. Sappiamo bene che invecchiare non è un processo semplice e riuscire a farlo stando comoda nel mio corpo, amandolo e nutrendolo nel senso più spirituale del termine è un valore aggiunto che sto cercando di imparare.
Tirando le somme, anche se non è mai una cosa banale, perché si rischia di semplificare invece di sintetizzare, dopo i 40 anni il mio rapporto con il cibo si è sempre più identificato con il mio rapporto con la vita, la convivenza, non sempre facile, della ricerca del benessere e della serenità e della voglia di leggerezza e allegria, ma qui viene in aiuto il vino. E questa è un’altra storia…